Il poka yoke, che in giapponese significa “a prova di errore”, indica un modo di progettare un’apparecchiatura ponendo dei limiti alla sua modalità di utilizzo: ciò obbliga l’operatore ad utilizzare correttamente l’apparecchiatura stessa.
Il popolo del sol levante ci ha insegnato ad utilizzare il poka yoke ogni qualvolta ci sia il rischio che una determinata operazione arrechi danno alle persone, alle apparecchiature od al processo nel caso in cui non venga svolta correttamente.
Sotto un certo punto di vista il poka yoke “deresponsabilizza” l’operatore nei confronti di una certa azione poiché ne impedisce l’errata esecuzione.
E’ pur vero che tutte le metodologie di miglioramento continuo (WCM, Lean, TPM, 6sigma,…) si fondano sulla crescita delle competenze del personale e sulla sua responsabilizzazione.
La domanda che ci dobbiamo quindi porre è quale sia la discriminante che ci guidi nella scelta di adottare o meno un poka yoke affinché i principi del miglioramento continuo non siano contraddetti.
Un esempio ci può aiutare in tal senso: nelle automobili dotate di cambio automatico non è possibile sfilare la chiave di accensione se la leva non è in posizione “parking”. In questo caso si presume che chi guida il mezzo sia competente e responsabile ma…possa essere sopraffatto dalla disattenzione!
Anche le interfacce software sono un esempio interessante: limitare il raggio d’azione dell’utente per evitare danni al sistema.
Il dilemma è: quanto?
Qual è il vostro parere?
Salve, a mio avviso il poka yoke è sempre il migliore intervento preventivo a fronte di non conformità ripetute e/o gravi. Altri interventi, come ad es. l'incremento delle competenze del personale, vengono dopo in termini di efficacia. Certo, non è sempre facile trovare soluzioni poka yoke, ma bisogna sempre provarci.