

Il Setsuban Kanri, antesignano del Lean Project Management e dell’Agile, è la risposta.
Spesso mi capita di ricevere, da parte di alcune aziende, la domanda: «come applicare le potenzialità che offre la Lean nelle produzioni non ripetitive?». «Va bene il 5S, lo SMED ed altre tecniche per organizzare al meglio la produzione, ma come poter beneficiare appieno dei dettami della Lean anche nelle aziende che operano a commessa?Come far diventare realmente ‘’Lean’’ un’azienda che opera a commessa?»
Nel pieno della quarta rivoluzione industriale, in cui l’evoluzione tecnologica viaggia alla velocità della luce, fioccano gli articoli e le statistiche in cui si attesta che, le aziende più evolute, stanno via via anteponendo nel processo di recruiting la valutazione delle soft skills alle competenze tecniche. In un recente articolo di giornale che ho letto viene riportato che per misurare i propri dipendenti, accanto ai “datati” KPI, parte delle aziende introdurranno entro il 2022 i cosiddetti KBI (key behavioral indicator) volti a misurare la collaborazione, la comunicazione, la capacità di risolvere problemi, i risultati e gli obiettivi del proprio personale, elementi un tempo valutati non misurabili.
E quindi qual è il collegamento tra evoluzione tecnologica e la sempre maggiore importanza delle soft skills?
Spesso quando si parla della quarta rivoluzione industriale si sente dire che questa è un pericolo per i lavoratori in quanto eliminerà posti di lavoro sostituendoli con macchine più efficienti o con nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale.
La filosofia Lean ci ha insegnato che l’obiettivo è un processo ottimizzato, guidato dall’uomo, e che la tecnologia deve essere la minima necessaria atta a facilitare quel processo. Questo modello regge ancora di fronte alla trasformazione digitale?
Quando l’organizzazione cresce, i manager si trovano a dover crescere assieme a lei, e i collaboratori assieme ai manager. La crescita comporta nuove attività, nuovi progetti e sviluppi futuri. Tutto quello che li alimenta non sono nient’altro che i processi già esistenti in cui il business esistente permette di accrescere se stesso. In questo scenario molti manager, che vogliono avere il controllo del processo, scelgono di occuparsi sia delle attività consolidate del business che dei nuovi progetti di sviluppo. Quasi inconsapevolmente e molto velocemente, diventano il collo di bottiglia per quelle attività che stavano cercando di velocizzare. Le decisioni sui problemi di processi consolidati continuano a passare da loro, come attività standard e routinarie, o altre attività di sviluppo minori o di piccoli progetti.
Perché parlare ancora di 5S? Non dovrebbe essere ormai una metodologia consolidata e parte integrante dell’organizzazione di tutte le aziende?
La realtà è ancora distante da questo, in molte aziende le condizioni generali di ordine e pulizia sono molto lontane da quello che dovrebbe essere uno standard minimo di accettabilità e questo può avvenire anche laddove si sono già iniziate attività di miglioramento adottando le metodologie della Lean Production.
La settimana scorsa però una domanda rivoltami dal responsabile produzione di un’azienda mi ha fatto riflettere, la domanda era questa: “ma ora che c’è l’industria 4.0 ha ancora senso parlare di 5S?”
Mi capita spesso di andare nel “gemba” per vedere con i miei occhi i processi per scoprire se ci sono sprechi (muda) da eliminare.
Nel momento in cui mi accorgo di uno o più muda mi vengono in mente naturalmente più soluzioni possibili diverse tra loro: alcune piccole e immediate, altre più complesse e che richiedono un cambiamento più incisivo. La differenza tra le due tipologie di soluzioni sta nell’impatto, nel costo e nella delega necessaria, ma anche nel nome: Kaizen o Kaikaku?
Fa parte del “sentire comune” ritenere, quello del Capo Turno, una ruolo chiave della fabbrica.
Chiedete a chiunque abbia rivestito una posizione di responsabilità all’interno delle operations di una impresa manifatturiera cosa pensi di questa figura e vi sentirete dire cose come: “dal capo-turno dipendono i risultati”, “sono loro la spina dorsale del sistema produttivo”, “le cose avvengono solo se loro ci credono”, eccetera, eccetera …
A questo tipo di valutazioni, però, non sempre corrispondono scelte coerenti in termini di crescita e sviluppo.
Un comune fraintendimento quando si parla di 4.0 è l’impatto che esso avrà sulle risorse umane all’interno dell’organizzazione. Spesso si pensa che, sostituendosi all’uomo, le macchine e la tecnologia possano ridurre i posti di lavoro, oltre che le opportunità di apprendimento e di sviluppo degli operatori.
La verità è che l’avvento del 4.0 permetterà una crescente autonomia dei lavoratori, liberandoli da mansioni ripetitive e facendo spazio a lavori cognitivi come il problem solving strutturato, il monitoraggio ed il miglioramento continuo dei processi. In questo modo, il personale ha più tempo da dedicare alla crescita e alla gestione di attività che creano valore aggiunto all’azienda. Ma senza una leadership adeguata, questa nuova dimensione creata dalla digitalizzazione diventa uno spreco.