La puntata precedente…
Nel post precedente abbiamo visto come un dashboard sia un supporto, un documento cartaceo, la schermata di un PC, il display di un tablet o di uno smartphone, che ci propone dati in forma “visiva” per facilitare le nostre analisi quantitative. I dati saranno rappresentati utilizzando i grafici, perché in questo modo attiveremo le funzioni visive del nostro cervello e saremo in grado di gestire più dati e stabilire più connessioni. In un dashboard deve esserci spazio anche per il testo per documentare le nostre analisi.
In questo post vedremo invece le virtù che un buon dashboard dovrebbe avere, cerchiamo di rispettarle e sarà davvero difficile fare un brutto lavoro!
Le cinque virtù di un buon dashboard
Anche se la tecnologia oggi ci permette di realizzare praticamente qualsiasi cosa in questo campo esistono dei requisiti, direi proprio delle virtù, che dobbiamo tenere presente se vogliamo realizzare un dashboard efficace ed efficiente.
Prima virtù: un buon dashboard deve essere ricco. Deve cioè offrire all’utente tutta la ricchezza di elementi e dati di cui ha bisogno. Cercando di rispettare il vincolo di far stare tutto nel campo visivo del destinatario, un buon dashboard dovrà cercare di soddisfare tutti i suoi desideri ed andare se possibile anche un po’ oltre. Per far questo lo costruiremo come un abito su misura, chiedendo direttamente agli utenti stessi di quali informazioni hanno bisogno. Non partiremo “dalla struttura dei dati”, ma dalle domande gestionali cui dovranno rispondere. Non dovrà essere ridondante però, perché lo spazio a disposizione sarà sempre la risorsa più scarsa.
Seconda virtù: deve avere il giusto grado di densità. Proprio perché lo spazio sarà sempre scarso cercheremo di bilanciare accuratamente la densità del supporto visivo e la sua fruibilità. Possibilmente senza farci prendere la mano nel riempirlo di oggetti troppo piccoli e per questo scarsamente leggibili. Se fatichiamo noi a leggerlo i nostri utenti avranno molto probabilmente difficoltà ancora maggiori.
Terza virtù: mostra relazioni causa-effetto e facilita l’ individuazione delle anomalie. Ovvero non descrive solo i dati, limitandosi a riportarli (report appunto), ma incorpora un modello analitico pensato per rendere evidenti le relazioni tra le variabili. Nell’esempio del grafico precedente costi-ricavi, in un ipotetico dashboard potrebbe essere affiancato da un grafico lineare con il numero di clienti attivi, o il numero di ordini evasi nell’anno. Il cervello dell’utente stabilirebbe immediatamente una connessione. Se poi volessimo renderla ancora più evidente potremmo fare un passo avanti e proporre un grafico di tipo “XY”, con il fatturato sull’asse delle y ed appunto il numero degli ordini o dei clienti su quello delle x. Il dashboard dovrebbe anche aiutare nell’individuazione delle anomalie, potremmo ad esempio usare una funzionalità di formattazione automatica per evidenziare con il colore rosso i punti in corrispondenza dei quali abbiamo conseguito una perdita.
Quarta virtù: un buon dashboard è multidimensionale. Deve cercare di integrare il maggior numero di dimensioni necessarie per il nostro modello analitico. Un errore che spesso si fa è separare le dimensioni in base alla loro natura. Spesso creiamo un dashboard per quelle finanziarie, un altro per quelle operative, un altro ancora per quelle qualitative. Non c’è nessun motivo per considerare questa prassi corretta, al contrario: le risposte alle domande gestionali hanno sempre bisogno integrare più ambiti in una unica soluzione. Forse la limitatezza degli strumenti di cui disponevamo fino a qualche anno fa ha condizionato i progetti in questo senso, ma oggi per gli applicativi di business intelligence di fatto non esistono limiti al numero ed alla natura delle variabili che possiamo inserire in un solo dashboard. Dunque facciamolo!
Quinta virtù: consente l’esplorazione da parte dell’utente. E questa se vogliamo è la caratteristica che lo distingue maggiormente da un report statico (cartaceo o digitale/PDF). Il fatto che l’utente possa muoversi in base alle sue necessità analitiche è da un lato un gigantesco moltiplicatore della potenza dello strumento, e dall’altro una chiave di successo di qualsiasi progetto in questo campo: ricordiamoci che gli utenti adorano potersi muovere liberamente!
La navigazione da parte dell’utente ha diversi livelli di libertà, può infatti: 1) offrire diverse viste “sfogliabili” nella forma di una storia o di un iperteso, 2) permettere una navigazione guidata attraverso i dati in base alle scelte dell’utente, secondo un albero gerarchico di possibili combinazioni, 3) consentire una navigazione libera basata sull’interazione con il dashboard e 4) una navigazione libera con la possibilità di influenzare la struttura stessa del dashboard. Tra queste possibilità le prime due appartengono un po’ ad un passato fatto di report “stampati” su PDF e report/statistiche dotati di funzionalità di drill-down. Mentre le ultime due sono di gran lunga le più moderne, efficaci ed in ultima analisi anche low cost, grazie al forte ridimensionamento dei costi dei software per la business intelligence.
È tutta questione di interazione
In pochi campi come in quello della visualizzazione quantitativa basata sui dashboard la tecnologia condiziona il modo di pensare. Oggi il software per l’analisi visiva ha fatto un salto enorme in avanti, ma spesso sviluppatori ed utenti continuano a pensare sulla base degli strumenti “del secolo scorso”! Ci si concentra cioè sull’interazione dell’utente con i dati stessi, offrendo in sostanza la possibilità di filtrare i dati, di aumentare il livello di dettaglio (drill-down), di effettuare magari simulazioni in base all’inserimento di parametri. Sono tutte belle cose, ma lo stato dell’arte oggi va molto oltre l’interazione utente-dati.
Ormai da anni sono disponibili (e decisamente a buon mercato) tecnologie che consentono anche un altro livello di interazione che è quello dati-dati, ovvero tra gli oggetti stessi del dashboard. È possibile cioè fare in modo che le azioni dell’utente non abbiano effetto solo sull’elemento, grafico o tabella, che sta interrogando ma che a sua volta quell’elemento vada ad interagire con gli altri del dashboard, generando infinte possibili viste, coerenti con il modello analitico che ha ispirato il progetto…
Lo so, detto così non si capisce gran che! Forse questi dashboard di esempio che ho realizzato con Tableau Public illustrano in modo più semplice il concetto. Il progetto è basato su un database pubblicato dal Guardian, contenente i dati del medagliere olimpico dal 1896 fino al 2008. Il foglio principale su cui è basato è di circa 30.000 righe x 10 colonne. Quanti report statici dovremmo stampare per assicurare l’accessibilità a ciascuna delle 300.000 singole caselle?
Come vedete poi nei 6 dashboard ci sono pochissimi selettori, menù a tendina o simili, perché sono progettati per consentire l’interazione dell’utente direttamente con i grafici e tra i grafici stessi, interazione dati-dati appunto. Provate a giocarci un po’ cliccando sui punti che più vi interessano, vedrete accadere automaticamente molte altre cose… E ciò che vedrete vi ispirerà ulteriori analisi…
Ecco il senso di un dashboard è proprio questo: “vedrete” !