Tratto tipico e comune del manager medio (e dell’imprenditore) americano anni ’80 è quello di essere al di sopra del suo staff e dei propri collaboratori sfruttando le loro competenze e manodopera al fine di raccoglierne poi i benefici e i risultati positivi per manifestarli all’intera comunità o, peggio ancora, portarli a qualcuno sopra di lui spacciandoli come frutto del suo duro lavoro. Questo è quello che negli USA viene etichettato come “one man-show”, cioè colui che concentra tutta l’attenzione di su se stesso evitando, ai membri del suo team, ogni minima opportunità di crescita professionale. Ma siamo sicuri che questa razza si sia del tutto estinta?
In fondo Mr. Ohno è “andato ad Hollywood”, la patria dello showbusiness, ed è proprio lì che realizza che è la carenza maggiore che il mondo manageriale occidentale ancora preserva, è questa impellente necessità di “apparire” che per essere soddisfatta, spesso, fa peccare di superbia rendendo superficiali le analisi strategiche e spezza le ali alle nostre risorse umane.
Uno dei termini più abusati nel mondo del recruitment è sicuramente “carisma” (concetto spesso erroneamente associato all’essere motivatore); questa caratteristica si lega molto bene alla professione di attore di cinema ma non sicuramente a quella di un manager lean. Volete sapere perché? Riporto per voi un breve passaggio dal Toyota Way di J. Liker:
“Uno dei fattori che Toyota non considera quando fa le selezioni è il carisma. Molti dei migliori leader di Toyota appaiono assolutamente ordinari, visti da fuori; non vincerebbero mai le elezioni o gare di popolarità. … In Toyota il carisma non è particolarmente apprezzato; si preferisce di gran lunga una persona meno appariscente, umile, che accetta le responsabilità, ha voglia di lavorare in gruppo ed è aperta all’apprendimento.”
Smettiamola quindi di guardarci allo specchio i muscoli ma immergiamoci nel Gemba manifestando una comprensione più che superficiale del pensiero lean. E così anche in Italia, ci vorrebbero meno “CEO da conferenza” e più con le “maniche rimboccate e sporchi d’olio”.
Buongiorno,
condivido molto quanto espresso nell'articolo. Nella mia personale esperienza ca 20-nale di Quality Manager, sono partito con un approccio molto teorico (tipico del neolaureato), per poi fare un'immersione totale nella pratica e nei problemi quotidiani delle aziende clienti, pervenendo ad una conoscenza più profonda della realtà aziendale... anche se, non lo nego, ho sempre avuto bisogno di frequenti reimmersioni nella "buona teoria" per riossigenarmi un po'!
Sandro Rizzoli
Lean Quality Manager
Rizzoli Consulting