Nella prima parte di questo articolo abbiamo introdotto il concetto di Shu Ha Ri, il percorso di sviluppo delle competenze applicato da Toyota per formare i suoi dipendenti.


Nella prima parte di questo articolo abbiamo introdotto il concetto di Shu Ha Ri, il percorso di sviluppo delle competenze applicato da Toyota per formare i suoi dipendenti.
Ormai i produttori Automotive hanno adottato in maniera pressoché universale l’approccio Lean nelle loro organizzazioni.
Questa trasformazione non è però sufficiente che avvenga nei loro impianti, ma deve essere estesa anche ai loro fornitori, vista la sempre maggiore integrazione esistente nella Supply Chain.
Se una azienda non ha a disposizione manager con una reale mentalità Lean (Mentalità Lean [parte1] e Mentalità Lean [parte2]), ma vuole intraprendere un percorso di Lean Transformation, deve necessariamente trovare un Sensei (“maestro” in giapponese) che l’aiuti.
Non la formazione alle tecniche lean, ma la formazione che è essa stessa “Lean”. Cosa significa?E’ una formazione che adotta su sé stessa le logiche dell’eliminazione degli sprechi per essere più efficace e costare meno? Oppure è una formazione che afferma, quasi in via esclusiva, il ricorso al “mentore” anziché al “docente”, al “campo” anziché all’”aula”, all’”imparare facendo” anziché allo “studiare la teoria”?
La Lean Production ha iniziato il suo cammino in ambito produttivo e negli anni si è estesa in tutti i settori aziendali: lean logistic, lean supply chain, lean purchasing, lean product development, lean administration, lean sales (basta prendere il nome di un ente o di un processo ed apporvi l’aggettivo “lean” ed il gioco è fatto). Ora si parla sempre più di Lean Enterprise intendendo con questo che l’approccio Lean deve comprendere l’azienda nella sua interezza.
Ma è sufficiente applicare la metodologia Lean a tutti i processi aziendali per sostenere di aver effettuato una Lean Transformation dell’azienda?
A mio parere non è sufficiente!
Shu Ha Ri sono tre parole giapponesi che descrivono il modello di sviluppo delle competenze di Toyota.
Toyota non lo ha creato ex-novo ma lo ha adattato prendendolo dalle arti (marziali e non) giapponesi ed è basato su due elementi imprescindibili: un percorso circolare di apprendimento che, partendo delle basi, porta ad una reale maestria e la presenza di un Sensei che accompagna l’allievo nel percorso.
Nello scorso articolo Mentalità Lean [parte1], nel quale sintetizzavo le principali caratteristiche di un Lean Manager, è emersa l’utilità di confrontare le differenze tra il Manager Tradizionale ed il Manager Lean.
Lars Kolind, il guru che nel lontano 1991 rilanciò la Oticon con la sua “Spaghetti Organisation” scrive di recente: “… long term sustained growth seldom comes from clever financial management. When finance enters the CEO’s office, passion goes out”.
Nel gruppo “Lean CEO”, Donna Samuel lancia un’interessante discussione dal titolo “CFO asks CEO: “What happens if we invest in developing our people & then they leave us?” CEO: ‘What happens if we don’t, and they stay?” (http://www.linkedin.com/groups/CFO-asks-CEO-What-happens-50264.S.258223919?trk=group_search_item_list-0-b-ttl&goback=%2Egna_50264) che ha generato molti commenti interessanti.
Una delle prime enunciazioni della Responsabilità Sociale d’Impresa (o Corporate Social Responsibility, CSR) è stata formulata da Robert Edward Freeman nel 1984 con il saggio “Strategic Management: a Stakeholder approach”. Con CSR si intende l’integrazione di valori etici nella gestione delle attività dell’impresa e che questa debba adottare un comportamento socialmenteresponsabile, monitorando e rispondendo alle aspettative economiche, ambientali, sociali di tutti i portatori di interesse (Stakeholders) con l’obiettivo di cogliere anche un vantaggio competitivo e massimizzare gli utili di lungo periodo.
Un capitolo del libro “Getting to Lean” di Lawrence M. Miller, dopo aver affrontato la definizione dei “soliti” sette sprechi analizza quelli che l’autore definisce i “ 6 management waste“.
Mi sembra uno spunto di riflessione importante in cui trovo molte delle storture che, spesso, caratterizzano il fallimento di molti progetto di cambiamento; vediamoli assieme: