Quando in fabbrica parlo di “Standard Work”, ancora oggi le parole che mi sento ripetere in continuazione sono “…non fa parte della nostra cultura, siamo italiani!”, “…io lo faccio diversamente rispetto ai colleghi”, “…i nostri prodotti sono troppo diversi” e così via. Stante queste premesse, l’approccio comune nella gestione delle operazioni è quello di dare libero sfogo alla creatività dei singoli talenti in maniera del tutto incontrollata.Questo approccio genera performance altalenanti in termini di qualità, rispetto delle consegne e costi sostenuti.
Partendo dal presupposto che tutta questa variabilità è il primo nemico del processo di miglioramento continuo (Kaizen), che sta alla base del Lean Thinking, è importante capire che la standardizzazione delle operazioni non deve togliere spazio al “talento” ma, viceversa, è finalizzata a stabilizzare i processi per riuscire a sostenere la performance del “talento” in maniera ripetibile e costante. L’importanza di partire da questi fondamentali spesso non viene riconosciuta dall’organizzazione così viene d’obbligo un paragone calcistico con i giocatori di serie A che, nonostante le doti tecniche già sviluppate e affermate, passano più del 50% del loro allenamento a ripassare i fondamentali.
A dare grande valenza e attualità al veterano concetto di Standard Work contribuisce la quarta rivoluzione industriale, la quale ci spinge verso digitalizzazione ed automazione. Oggi il passo verso la Smart Factory è strettamente necessario ma, uno dei presupposti affinché vada a buon fine, è che i processi siano sufficientemente stabili e ripetibili. Cosa pensate succederebbe se trasferissimo tutta la variabilità ai nuovi Impianti 4.0? Di quanto aumenterebbero le difficoltà gestionali? Riusciremmo ancora a limitare i danni della variabilità con il firefighting?