Quando qualcosa è di moda rischia di venir volgarizzato. Il lean ora è di moda, e infatti tutti si proclamano esperti di lean (soprattutto i consulenti), e molte aziende dicono di essere lean. Le più brillanti dicono addirittura di averlo già fatto. Non rendendosi forse conto della contraddizione implicita nel dire di avere già fatto qualcosa che ha tra i suoi fondamenti il miglioramento continuo.
È ancora dura ad imporsi la comprensione che il lean non è un insieme di formule o strumenti che vengono implementati una volta per tutte, ma un paradigma manageriale che determina un continuo utilizzo di quelle regole e quegli strumenti per il raggiungimento dell’eccellenza, che è un bersaglio mobile.
La confusione è aumentata poi da certi consulenti, che fanno più o meno quello che facevano prima, ma lo etichettano lean. Di recente ho letto la narrazione di un intervento che parlava di gagliardetti e di scudetti da esporre, come riconoscimento a chi aveva contribuito al miglioramento.
Cosa c’è di diverso da politiche del personale applicate da decenni, oltretutto sospette? Nulla. Toyota riconosce i successi. Art Byrne, immortalato da Womack in “Lean Thinking”, riconosce i successi ma condivide anche quote dell’ebit. Ne l’uno né l’altro menzionano però i gagliardetti come strumenti chiave per la Lean Transformation.
Cerchiamo di essere seri: non è lean tutto ciò che chiamiamo facilmente lean.