Mettete indietro l’orologio di 100.000 anni minuto più minuto meno, siete in una brughiera dell’Europa centrale e state andando in cerca di cibo, non lontano da voi c’è un vostro competitor proveniente da una tribù vicina. Improvvisamente dal grigio della nebbia emerge una massa più scura. Voi la vedete e siete in grado di percepire che si trova ad un centinaio di passi, il vostro antagonista no. Che si tratti di un branco di predatori o della vostra cena, voi avrete molte più probabilità di trasformare quella percezione in un’occasione di sopravvivenza rispetto al vostro simile, meno dotato dal punto di vista visivo. Dato poi che nella brughiera la sera non c’è gran che da fare… Trasmetterete quella caratteristica alla vostra progenie, cioè noi.
È così che l’evoluzione ha pazientemente programmato la nostra attitudine visiva e l’ha radicata in profondità nel nostro hardware biologico. Per questo quando siete alla guida e vedete un gatto che vi attraversa la strada il vostro piede scatta automaticamente sul freno e, cosa ancor più straordinaria, anche quello del passeggero che accanto a voi sta guardando la strada!
Ma essere “animali visivi” ha implicazioni ancora più sofisticate. La vita visuale degli umani non si limita alla fruizione passiva delle immagini che ci circondano, siamo tutti anche soggetti attivi e creativi. Il ciclo del lavoro visivo che attraversiamo è solo apparentemente semplice, si articola in quattro passaggi ed è in realtà molto sofisticato e potente.
Innanzitutto “guardiamo”. Gli occhi, i nostri sensori, raccolgono enormi quantità di dati, milioni di immagini nell’arco di una sola giornata, ma questo è solo l’inizio. Raccogliere dati infatti non basta per innescare una qualche reazione, è necessaria la seconda funzionalità che attiviamo nel momento in cui “vediamo”. Può sembrare una distinzione sfuggente ma quante volte ci capita di avere davanti a noi ciò che stiamo cercando? Possiamo infatti guardare ma non vedere, nel momento in cui reagiamo al gatto che attraversa la strada stiamo in effetti vedendo.
Il terzo passaggio fa la differenza, per quanto ne sappiamo, tra noi e tutte le altre specie animali. A partire da ciò che ha “visto” il cervello inizia infatti una attività autonoma. Può essere una reazione immediata, come l’invio al piede dell’istruzione di posizionarsi sul freno, ma più spesso è qualcosa di più elaborato. È la terza fase detta dell’immaginazione: si attivano gli “occhi della mente”, che a partire dalle informazioni raccolte dal mondo visibile iniziano una propria elaborazione, anch’essa basata su immagini. Il risultato può essere qualcosa di molto diverso ed infinitamente lontano dal punto di partenza. Il nostro cervello infatti è completamente autonomo e molto adattivo, può indifferentemente lavorare con grande accuratezza su immagini reali o appunto innescare l’immagin-azione, lavora per immagini e riconosce modelli, ricorda, stabilisce associazioni e collegamenti, crea…
Una volta che è stato “immaginato” il prodotto dell’elaborazione beneficia di un altro ambito molto importante della nostra natura: la socialità. Nella quarta fase ciò che abbiamo prima guardato, poi visto e che abbiamo processato con la nostra immaginazione viene “mostrato” ai nostri simili. Così chiudiamo il ciclo di lavoro al livello individuale. Dal momento però che il linguaggio visivo che usiamo per mostrare di solito è socialmente condiviso, le persone che fruiscono di ciò che mostriamo a loro volta attivano il loro personale ciclo guardo-vedo-immagino-mostro. La conseguenza è una propagazione dell’immaginazione del tutto imprevedibile ed a volte straordinaria. È proprio il caso di dire che i risultati sono davanti ai nostri occhi: nessuna delle realizzazioni del genere umano sarebbe stata possibile senza questi processi. Nel bene e nel male.
Dunque per riassumere un lavoro semplice e ciclico, svolto da un apparato basato sulla sinergia di
- gli occhi, i sensori;
- gli occhi della mente, ovvero l’elaboratore;
- una serie di periferiche sempre connesse: le mani con cui realizziamo manufatti, i piedi con cui ci spostiamo…
Raccontato così sembra qualcosa di tecnicamente molto complesso ed in effetti lo è, ma il bello è che funziona per tutti, quasi senza che ce ne accorgiamo. Abbiamo talmente bisogno degli aspetti visivi della nostra intelligenza che a volte lavoriamo per immagini anche senza utilizzare delle vere immagini ottiche. Un esempio? Il nostro amministratore delegato che nel suo discorso si trova a dire: “… Con voi che siete la mia squadra non posso che essere un libro aperto, devo quindi dirvi che la strada che ci aspetta è in salita, dovremo attraversare una valle di lacrime, ma credo fermamente che in fondo al nostro cammino tornerà il sereno…”. Non importa in quanti siano seduti in sala, ciascuno avrà visto nella sua mente la propria personale versione delle immagini che il nostro top manager non ha potuto fare a meno di usare: la squadra, il libro aperto, la strada, la salita, la valle, il cielo sereno.
Dunque una potentissima dotazione biologica, che l’evoluzione genetica ha messo a punto per noi in centinaia di migliaia di anni, e che attraverso il ciclo guardo-vedo-immagino-mostro può originare risultati straordinari…Ma noi oggi nelle nostre realtà professionali cosa facciamo per sfruttarla al meglio? Non ho dati alla mano, ma il mondo aziendale che conosco mi suggerisce una triste risposta: molto poco. Ad eccezione di alcuni ambiti come ad esempio il design, l’architettura o l’ingegneria, nei quali giustamente si ritiene di non poter lavorare senza visualizzare, la nostra dotazione visiva rimane per lo più inutilizzata. Personalmente non sono affatto convinto che un piano strategico necessiti di meno visualizzazione di un progetto per un nuovo centro commerciale!
Il problema forse sta tutto nelle nostre teste. Avete notato che le lavagne a fogli mobili sono assolutamente abbondanti nell’ecosistema aziendale? Eppure quasi tutti abbiamo una intima di ritrosia a metterci davanti ai nostri colleghi per “mostrare” con un pennarello ciò che abbiamo “immaginato”. Non parliamo poi di invitarli a mostrare al loro volta il risultato dei loro processi guardo-vedo-immagino-mostro. “Siamo qui per lavorare, non per giocare a Pictionary ! “ sono pronto a scommettere che da qualche parte questa frase è stata detta, sicuramente è stata pensata. Come pure aprire la presentazione con un: “…Ehm sì, in effetti qui avrei voluto preparare un grafico, ma visto che non avevo tempo ho dato priorità alla tabella con i numeri…” porta a ricevere da tutti i partecipanti all’incontro una immediata e connivente assoluzione. Ma così è come se lavorassimo bendati al 90% !
Ovviamente queste resistenze non vanno solo contro la nostra naturale attitudine visiva, ma limitano enormemente l’efficacia e l’efficienza di qualsiasi gruppo di lavoro, che poi vuol dire lavorare più lentamente, con maggiori costi e risultati inferiori… Sono riuscito a mettervi un po’ di ansia da “non-visualizzazione” ?
Bene! La buona notizia è che da tempo esperti e studiosi di vari campi lavorano su come sfruttare la visualizzazione per aumentare le performance dei gruppi di lavoro. Negli ultimi anni si parla molto di Visual Thinking e facilitazione visiva, ma già a metà degli anni ’80 in Europa (soprattutto in Germania) e negli USA si stava lavorando per fondere le tecniche di lavoro di gruppo con la visualizzazione.
Oggi abbiamo a nostra disposizione un set molto vasto di strumenti facili, low cost, molto efficaci e, ultimo ma non ultimo, gradevoli da usare. Davvero non ci sono più scuse per non visualizzare!
E non si deve neanche credere che servano costosissime tecnologie di videoproiezione, lavagne elettroniche, workstation grafiche o altre diavolerie, abbiamo già quasi tutto “built-in” proprio perché l’evoluzione ci ha dotato del 99% dell’hardware biologico necessario per lavorare in modo visivo. Qualche esempio dalla nostra quotidianità?
Prendiamo rito più spietatamente celebrato a livello planetario: la presentazione basata su slide. Diventerà molto più sintetica, coinvolgente e facile da ricordare se sostituiremo il più possibile le slide di testo con foto ed immagini, semplici ma dense di significato. Abbiamo a che fare con un un set di dati molto ricco e complesso? Se rappresentato in uno o più grafici sarà fruito con una rapidità infinitamente superiore e gli interessati individueranno correlazioni e trend che mai avrebbero scorto in una tabella. Alla fine della riunione il relatore chiede il classico “giro di tavolo”? Verrà valorizzato, documentato ed istantaneamente condiviso se, invece di farlo in modo solo verbale, qualcuno in un angolo della sala si occuperà di fare un recording di quanto detto su una lavagna a fogli mobili, usando testo e magari qualche disegno…
Insomma che io vi abbia convinto oppure no vi invito a leggere i miei prossimi post, nei quali vi accompagnerò attraverso consigli per migliorare le vostre presentazioni, per facilitare un gruppo di lavoro attraverso le immagini e per navigare tra i dati usando grafici e dashboard.
Il mio obiettivo? Farvi venire una irresistibile voglia di provarci!